Harry Potter e la maledizione dell’erede, J. K. Rowling, Jack Thorne, John Tiffany
Salani Editore, 2016, Traduzione di Luigi Spagnol, pp.368, ISBN: 978-8869187490

Insieme a molti altri, che come me ai tempi si esponevano al pubblico ludibrio facendo la coda davanti alle librerie a mezzanotte a ogni nuova uscita della saga, ho accolto la notizia dell’arrivo di un nuovo libro di Harry Potter con sentimenti contrastanti. Se da un lato non vedevo l’ora di tornare a Hogwarts, dall’altro avevo un certo timore di veder rovinato il mondo che tanto amavo da un seguito voluto unicamente per ragioni economiche. Preoccupazione lecita: si legge in copertina “basato su una storia originale di J. K. Rowling”, che difatti si limita, a quanto si dice, a firmare l’idea, elaborata dagli scrittori per teatro Jack Thorne e John Tiffany. E infatti, la principale critica che ho visto muovere al libro in questi pochi mesi dall’uscita (considero anche la data di pubblicazione anglosassone, in luglio), è che sia poco più di una fanfiction elevata agli onori della stampa.

Per chi non familiarizzasse con la terminologia, per fanfiction si intende tutto ciò che è scritto dai fan, appunto, per colmare quelli che vengono ritenuti “vuoti” nella narrazione di un particolare universo di finzione. Se n’è discusso molto, di recente, soprattutto dopo il caso editoriale di Cinquanta sfumature di grigio, data l’ultima tendenza dell’editoria di utilizzare comunità di fanfiction come serbatoi di nuovi talenti. Non mi addentrerò nella spinosa questione riguardante la legittimità o meno di queste operazioni, su cui si sono sprecati fiumi di parole. Posso però dire che mi trovo parzialmente d’accordo con la critica mossa a La maledizione dell’erede, in particolare per certe strizzate d’occhio al lettore, riconoscibili solo da chi già frequenta le comunità dedicate, e il colpo di scena finale, di cui ovviamente non dirò altro, che è costruito con un’ingenuità sconcertante oltre ad entrare in aperta contraddizione con alcuni aspetti della saga originale.

La scelta poi di pubblicare quello che in realtà è il copione della “pièce teatrale” non mi ha convinto fino in fondo. L’ambientazione, uno dei punti di forza della saga di Harry Potter, con il suo inestricabile intreccio di vita quotidiana e magia, sparisce dalla pagina della sceneggiatura per rimanere relegata nelle poche righe di descrizione degli ambienti. Quel che invece è ben riuscito è la caratterizzazione dei personaggi, che prendono vita grazie alla preponderanza del dialogo. Sempre facile immedesimarsi nei vecchi amici, ritrovati ne La maledizione dell’erede più maturi, eppure ancora fragili e imperfetti; splendidamente caratterizzata la relazione fra Harry e suo figlio, i conflitti generazionali, gli strascichi della guerra sui sopravvissuti.

A sorpresa, è ben riuscito l’utilizzo di una delle situazioni narrative peggio gestite di tutta la saga, ovvero il viaggio nel tempo. Lungi dal commettere l’errore di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, gli autori qui si affidano ad una soluzione ben rodata che sfrutta il paradosso temporale e la ripetizione (quella, per intenderci, che ha reso celebre il film Il giorno della marmotta), e che ricorre al deus ex machina programmaticamente, e non per obbligo. Davvero un peccato lo scivolone del finale, che come accennavo più sopra, finisce con il rovinare una storia sicuramente non originale, ma ben congegnata.

In conclusione, se non avete già letto i primi libri, o se li avete letti e non vi hanno appassionato, non leggete La maledizione dell’erede. Per chi è nuovo all’universo di Harry Potter, non può che lasciar confusi e insoddisfatti. Al contrario è, per noi che siamo cresciuti insieme ad Harry, se non il seguito che ci aspettavamo, almeno la possibilità di respirare di nuovo, anche solo per un po’, l’aria di Hogwarts.

Harry Potter e la maledizione dell'erede

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