La voce della notte, Rafik Schami
Garzanti, 2008, titolo originale: Erzahler der Nacht, traduzione di Chiara Belliti, ISBN: 978-8811686316

Devo dire che sono rimasto positivamente colpito da questo libro, è un libro delizioso ed adatto a diverse età. Una lettura facile, ma non banale. È principalmente un libro sulla forza della parola, sull’esilio e l’abbandono, la tolleranza e l’amicizia. Il tutto scritto pensando a Le mille e una notte in salsa Damascena, più corto e più moderno.

Rafik Schami, l’autore, è un rifugiato siriano. Fugge dalla leva forzata e dalla censura di regime nel ’71, trasferendosi in Germania, dove completa i suoi studi in chimica, senza mai smettere di scrivere. Il suo stile rimane d’impronta fortemente araba, ma man mano che inizia a scrivere in tedesco, l’autore assimila e mischia le tradizioni orali germaniche con quelle semitiche, creando una letteratura che fa dell’integrazione la sua bandiera.

Questo aspetto si vede già in questo libro, che parla di otto amici che abitano a Damasco: alcuni sono cristiani ed altri musulmani, di diversa estrazione sociale (un ex ministro dell’economia, un fabbro, un cocchiere, un barbiere, un ex galeotto, l’ex proprietario di un caffè, un insegnante di geografia e un emigrante tornato a Damasco). Al cocchiere Salim piace tantissimo narrare storie a tutti, nel vero stile Hakawati (del cantastorie) tipico della zona Siro/Libanese. Le racconta sia ai clienti che agli amici, ma un giorno, purtroppo, perde la voce. Gli altri sette uomini inizialmente faranno di tutto per provare a fargliela tornare. Proveranno ad ubriacarsi tutti assieme (cristiani e musulmani), poi proveranno con l’acqua santa delle chiese cattoliche ed ortodosse, e poi ancora con la sabbia miracolosa della Mecca e con quella di Betlemme, ma nulla sembra poter far tornare la voce a Salim.

Infine la soluzione che troveranno è quella di raccontare all’amico Salim una storia ciascuno. Così avranno inizio sette viaggi che mischieranno realtà e fantasia, sette storie che aiuteranno gli amici a conoscersi meglio ed il lettore a conoscere di più quel mondo multietnico, multiculturale e multireligioso che è il mondo Arabo e, in particolar modo, il Levante. Queste storie serviranno anche a ciascuno dei narratori stessi per guarire dalle ferite del passato. Qui dunque la parola stessa diventa insieme realtà e fantasia, proprio come i racconti che tesse. Diventa taumaturgica in quei racconti salvifici, dei e per i personaggi, e reale per noi. Soprattutto ci insegna e ci chiede di non smettere mai di raccontarci e di ascoltare ciò che gli altri hanno da raccontarci, di tessere le nostre storie e di aprirci all’altro per sentirci tutti meno stranieri. A proposito di questo, Tuma l’emigrante dice:

Ma non conoscevo ancora l’importanza delle parole. L’ho scoperta in America, quando sono diventato muto. Le parole sono gioielli preziosi, miei cari amici, e non devono essere sprecate… Mi sembrava di essere morto, senza la possibilità di farmi comprendere e di esprimermi in una lingua che non conoscevo. Facevo come Salim, usavo le mani, i gesti, ma non era la stessa cosa.

 
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