La maschera onirica delle violenze di regime

Il Terzo Reich dei sogni, Charlotte Beradt
Titolo originale: Das Dritte Reich des Traums, Einaudi, 1991, Traduzione di Ingrid Harbach, ISBN: 8806125761

 

Rispolverare qualche lettura universitaria può rivelarsi un inatteso toccasana, specie se ti ritrovi fra le mani un libro come questo, o addirittura proprio questo qui.

Una raccolta di sogni fatti (e fatta) tra il ’33 e il ’39 nella Germania hitleriana, delicatamente commentati dall’autrice, giornalista berlinese; uno studio che tenta di individuare quegli elementi ricorrenti che segnano l’ingresso del terrore di regime nella vita onirica.

Beradt raggruppa le costanti in temi/capitoli che vanno dalle “agghiaccianti favole burocratiche”, come chi sogna l’«Ufficio addestramento per l’istallazione di orecchie alle pareti», alle “dottrine che si rendono autonome”, come la ragazza che sogna di non essere più in grado di parlare da sola, ma di riuscirci unicamente in coro, insieme al suo gruppo.

Un ritmo emotivo in cui vive l’angoscioso sogno della casalinga borghese, che come la Penelope di un mondo beffardo si affanna ogni notte a scucire la croce uncinata dalla bandiera nazista, ritrovandola il giorno dopo sempre saldamente ricucita, e in cui l’autocensura precauzionale non ha limiti: c’è chi sbaglia di proposito una barzelletta proibita, in modo che non abbia più senso, chi parla in sogno una lingua che non conosce affinché nessuno – nemmeno lui stesso – possa capirlo.

Al margine di ogni analogia storico/psicologica si sia tentati di fare, quello che Beradt ci consegna è un fondamentale documento storico, che narra una fetta di realtà normalmente esclusa dal resoconto dei fatti. Una dolorosa mancanza resta senz’altro quella di non aver potuto includere nell’indagine i sogni di chi – s’immagina ce ne fossero – sposava intimamente il regime, circostanza naturalmente dovuta alla lontananza dell’autrice da quegli ambienti. Lo stesso Bruno Bettelheim, il cui saggio dedicato si trova in postfazione a quest’edizione, insiste su questo limite, senza però ignorare la “fortuna che un segmento così importante sia disponibile”.

Con sguardo lontano da intenzioni cliniche o terapeutiche, e onesta nella sua ricerca di una distinzione tra le ansie individuali e quelle vissute collettivamente, Beradt costruisce un piccolo gioiello che, se lo leggessero in tanti, sarebbe proprio una buona cosa.

Il Terzo Reich dei sogni