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Il peluche simbolo della Shoah

L'Orsetto di Fred - Gallucci - Argaman - Ofer

L’Orsetto di Fred, sopravvissuto alla persecuzione nazista insieme al suo piccolo proprietario, esiste davvero ed è conservato al Museo dello Yad Vashem di Gerusalemme

L’Orsetto di Fred, Iris Argaman, illustrazioni di Avi Ofer
Gallucci, Collana: Illustrati, gennaio 2017, traduzione di Elena Loewenthal, ISBN: 9788893481250

C’è una storia piccolissima e, allo stesso tempo, enorme per raccontare ai più piccoli la Shoah e spiegare loro il significato della Giornata della Memoria, celebrata in tutto il mondo ogni 27 gennaio. È la storia de L’Orsetto di Fred, un peluche che, nella fuga dall’odio nazista, accompagnò il piccolo Fred Lessing in ogni dove.
A darle voce è l’autrice per l’infanzia Iris Argaman, nata nel 1967 ad Ashdod, in Israele.
Le delicate illustrazioni, coi colori della cenere e della neve, sono del disegnatore e regista di animazione di Tel Aviv e catalano di adozione Avi Ofer.

L’idea di questo poetico, quanto necessario, albo illustrato nasce da una storia vera. Lessing, ebreo olandese sopravvissuto all’Olocausto, vive oggi con la sua famiglia negli Stati Uniti, dove aveva portato con sé anche il suo animaletto di pezza. Animaletto che, dal 1996, è conservato in una teca del memoriale di Gerusalemme Yad Vashem.

Il volume – realizzato in accordo con the Institute for the Translation of Hebrew Literature – comincia dalla fine, in quel di Gerusalemme, dove il logoro orsetto arriva adagiato in una scatola di cartone. Ad accoglierlo il commosso staff del museo, che l’ha ribattezzato da subito “La Monna Lisa dello Yad Vashem”.

Questa è la telefonata che convinse Lessing a trasformare il suo inseparabile amico in un testimone di speranza e che il testo appena pubblicato da Gallucci editore riporta fedelmente:

«Salve Fred, mi chiamo Yehudit,
vivo in Israele e lavoro al Museo dello Yad Vashem.
Ho sentito raccontare del suo orsetto, e mi ha molto colpito.
Acconsentirebbe a prestarlo al Museo, qui a Gerusalemme? Così
i bambini potranno conoscere la sua storia».
«Debbo chiedere a lui» rispose Fred «io e l’Orsetto siamo
sempre stati insieme, non ci siamo mai separati».
Poi Fred mi prese fra le mani e mi disse:
«Orsetto, siamo sempre stati insieme. Tu sei il mio migliore
amico. Tu mi hai protetto nei momenti più difficili.
Te la senti di viaggiare?»
E io risposi di sì.

Prima di ascoltare questa conversazione, però, il lettore deve conoscere tutto su Fred e il suo pupazzo.

Le avventure del piccolo orso, a cui Fred non diede mai un nome, iniziano in un modo normale, all’interno di una famiglia apparentemente come tante altre. Viveva nella stanza del piccolo Fred e dei suoi fratelli insieme agli altri giocattoli, ma quello che riceveva era un trattamento speciale.
Il trattamento che in ogni parte del mondo si riserva agli oggetti prediletti. Fred lo portava con sé ovunque, tenendolo per mano o chiuso dentro il suo zaino. E, soprattutto, la notte aveva il privilegio di dormirgli accanto e di condividerne i sogni.
Fred aveva un padre che suonava il pianoforte, una madre premurosa e giornate spensierate di grosse risate.
E lui, lui, era un orsetto felice. Senza un nome, ma felice.

A interrompere quella felicità è la storia, la storia con la “S” maiuscola. Anche se, in questo caso, sarebbe meglio avesse una “s” minuscola come minuscoli furono, seppur fortissimi, gli uomini piccini picciò che la animarono.

Una sera andammo a spasso
Fred e io.
Mi teneva nella mano con il guanto.
Io guardavo le strade dove andavamo sempre.
Che silenzio, però, adesso.
Poca gente in giro e tutti
sembravano così tristi.

Durante quella passeggiata, a Fred e al suo compagno accade qualcosa che a posteriori sembrerà profetico. Vengono aggrediti da un grosso cane nero. Quasi una metafora di quanto sarebbe accaduto poi. Da quello scontro, nonostante i tentativi di Fred di proteggerlo dalle fauci dell’animale, l’orsetto ne esce quasi decapitato.
«Povero Orsetto, non essere triste. Ti voglio bene anche se ti penzola la testa», disse il bambino come a sigillare un’amicizia indissolubile.


La guerra raggiunge anche il paese dei mulini a vento e, con essa, le persecuzioni derivanti dalle leggi razziali del führer e dalla cosiddetta Endlösung, la soluzione finale.

… si sentì bussare piano alla porta.
Entrò un amico di papà e ci disse che presto
sarebbe arrivata della gente
e ci avrebbe cacciato di casa.
E poi udii un gran frastuono.
Mobili che si spostavano, cassetti che si aprivano, rumore di tacchi.
La mamma di Fred disse: «Bambini,
dobbiamo andare via di casa e non so quando torneremo.
Per ciascuno ho preparato uno zaino con una coperta, dell’acqua e
dei biscotti.
Mettetevi il cappotto, facciamo finta che andiamo in gita».

In gita.

Voce narrante con la responsabilità di trasmettere ai bambini di tutto il mondo il suo viaggio, l’animale di pezza è il testimone perfetto. Discreto, silenzioso, insospettabile. Quello da cui mai ti aspetteresti, un domani, un resoconto dettagliato.


Ciò che vedono i suoi occhi, che poi sono gli occhi di Fred, lo leggiamo oggi grazie allo stile garbato e asciutto di Argaman. Prima la fuga, poi i nascondigli, la stella di David e le settimane, i mesi, gli anni chiusi in casa. Un tempo infinito lontano dalla famiglia che il linguaggio e la brevità propria degli albi illustrati fanno sembrare un lampo, rendendolo adatto anche ai lettori più piccoli, indicativamente dai sei anni in su.

In Israele la storia dell’orsetto di Fred la conoscono tutti. È un simbolo. Il simbolo di tutti i bambini sopravvissuti e in alcuni casi, proprio come Fred Lessing, ancora in vita.

Ha un aspetto malconcio, una testa di un colore differente dal resto del corpo, cucita ex novo dalla madre dell’affezionato proprietario subito prima di affidarlo alle cure di altri, ma vive. E, se ne avremo cura, a differenza di noi, potrà essere eterno. Ha e avrà la grande missione di ricordare quel che è successo e non dovrebbe mai più accadere. Di trasmettere a chi verrà che la vita (e l’amore), alla fine, sanno vincere sulla morte (e sull’odio).

Per sempre.

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