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La portavoce degli oceani che fece immersioni anche col pancione

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La signora degli abissi – Sylvia Earle si racconta è l’ultimo titolo della collana “Donne nella scienza”

La signora degli abissi – Sylvia Earle si racconta, di Chiara Carminati
Editoriale Scienza, marzo 2017, illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio, ISBN: 9788873078816

Di ragazzine che sognano una vita come quella di Sylvia Earle sono piene le piscine. Alcune hanno delfini tatuati sulle spalle, altre le onde che si infrangono sulla riva riflesse nel luccichio degli occhi.
Riuscire a trasformare l’amore per il mare nel proprio mestiere, però, non è da tutti. Serve passione, coraggio, studio e, prima ancora, circostanze. Il caso o il destino, chiamatelo come vi pare.

La piccola Sylvia Earle, quando i suoi genitori decisero di trasferirsi dal New Jersey in Florida, avrebbe preferito restare in campagna, a visionare foglie e insetti con la sua lente di ingrandimento. La serendipità, però, è una delle conditio sine qua non che chi vive di scienza impara presto ad apprezzare. Quella felice scoperta che arriva mentre stavi cercando altro e che si rivela come la scintilla decisiva per la scelta di imboccare una strada invece di un’altra. E che un bel giorno ti dà il privilegio di classificare un’alga rossa mai vista prima (se non forse nelle tavole del Dottor Seuss) e battezzarla, in onore del tuo mentore, Hummbrella hydra.

Ed eccola qua la scintilla che in La signora degli abissi cambia la vita di Sylvia Earle, appena tredicenne.

La casa era piccolina, ma aveva un grande cortile. Grandissimo. Il cortile della nostra nuova casa era il Golfo del Messico.

Una cartolina che fa mancare il fiato e che invita chi legge a immergersi col Nautilus nei segreti dell’oceano.

Vivere sott’acqua è un’esperienza eccezionale. Io augurerei a tutti di poterlo fare almeno una volta nella vita, anche solo per un giorno: sono convinta che l’umanità sarebbe diversa, e sarebbe evidente a tutti che dal rispetto dell’universo blu dipende la nostra stessa esistenza.

Già.

La cronaca precisa ma poetica di Chiara Carminati – Premio Strega Ragazzi e Ragazze per Fuori fuoco (Bompiani) e Premio Andersen 2012 – è perfetta per dar voce all’intensa storia della mitica oceanografa statunitense, oggi ottantenne.

Botanica, biologa marina e autrice, fra le altre, di numerose pubblicazioni a carattere divulgativo per bambini, non poteva che guadagnarsi un posto d’onore nella bellissima e utilissima collana di Editoriale Scienza, “Donne nella Scienza”. La serie, dedicata alle biografie di donne che hanno dato un grande contributo al pensiero scientifico, è anche una proposta di modelli in cui riconoscersi e un inno alla libertà di autodeterminarsi a dispetto di una concezione, tanto per usare un eufemismo, demodé della donna e delle letture considerate più adatte al suo genere.

Le ricerche di Earle vertono principalmente sullo studio dell’ecosistema marino attraverso l’esplorazione diretta dei fondali. Dalle Galápagos alle Bahamas, passando per gli oceani Indiano e Pacifico. Come riportano fedelmente le quasi fotografiche illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio, la scienziata, capo spedizione negli anni Settanta del primo gruppo femminile di acquanauti in occasione del progetto sperimentale Tektite – una casetta sottomarina posizionata a quindici metri di profondità e dotata di un laboratorio dove analizzare gli esemplari raccolti durante le immersioni, voluta da Nasa e Ministero dell’Interno – non rinuncia ai fondali nemmeno in gravidanza. Un esempio da manuale per le ragazze di oggi che spesso vivono, o sono costrette a vivere, la maternità o il matrimonio (l’ottimista Earle è convolata a nozze addirittura tre volte e scandalo degli scandali – titolò un quotidiano – ha partecipato da sola ad una spedizione con 70 uomini) come un ostacolo alla propria carriera professionale.

«… penso che il fondo del mare sia un bel posto dove portare in giro il proprio bebè», fu il consiglio che Eugenie Clark, studiosa di squali nota nell’ambiente degli ittiologi come “The Shark Lady”, diede alla sua amica prima dell’ennesima avventura.

Con il nulla osta del medico, la ricercatrice non solo si tuffa a 38 metri di profondità dentro la pancia di un sommergibile accompagnata dal feto di cinque mesi della piccola Gale, ma si avventura anche nell’immersione più lunga che avesse mai sperimentato fino ad allora.

Una simbiosi, quella con il mare, che in una vita fatta di oltre seimila ore sott’acqua non poteva che tramutarsi – come testimonia la docufiction Mission Blue di Robert Nixon – in una missione: difendere gli oceani dalle minacce della cosiddetta civilizzazione, il sovrasfruttamento delle risorse ittiche e i rifiuti tossici riversati in mare, giusto per citarne alcune.

Mission Blue è anche il nome della fondazione creata dalla scienziata per organizzare una rete di aree marine protette sparse su tutto il pianeta e salvaguardare l’ecosistema marino. Un altro insegnamento per i giovani lettori, che devono sapere – testuali parole – che se muore il mare, muore tutto. Perché «niente blu, niente verde» è il mantra da ricordare, oltre che una tragica verità da tenere bene a mente «in un mondo che si ostina ad avere un punto di vista esclusivamente “terreste” e a dimenticare che tutte le forme di vita hanno bisogno di acqua».

Nella certezza che anche i suoi tre figli siano come minimo ottimi nuotatori (Gale di sicuro!), la chiusura è affidata ad un altro segno del destino: il racconto di un pericolo scampato.

«Quando avevo tre anni, una domenica di vacanza in cui eravamo in spiaggia e io correvo dentro e fuori dalle onde, un’onda più grande delle altre si è alzata su di me e in un battibaleno mi ha afferrato e risucchiato nella risacca. Per un attimo non mi ha visto più nessuno. La corrente mi ha rigirato come un ciottolo, poi un’altra onda mi ha nuovamente scaraventata sulla battigia. Invece di spaventarmi, mi sono rialzata e ridendo mi sono tuffata di nuovo. Quello è stato l’inizio del mio amore per il mare, ma anche una delle prime prove della mia tenacia: per tutta la vita, quando gli eventi come un’onda mi gettavano a terra, ho avuto la forza di reagire e di tuffarmi con slancio nell’onda successiva».

Buona lettura e buone vacanze, è l’ora del nostro tuffo. Lo aspettiamo da undici mesi.

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