Lena, Trille e il mare di Maria Parr (Beisler) è un romanzo di formazione che segue la vita di Lena e Trille nell’arco di un anno. Lena e Trille hanno dodici anni, perciò un anno per loro non è solo un anno, ma rappresenta un pezzo importante della crescita, e in un anno, a quell’età, di cose ne succedono tante.

Si potrebbe definire, giustamente, un romanzo sulla crescita e sull’amicizia, perché i due ragazzini vivono delle esperienze che li portano a lasciarsi alle spalle la loro infanzia e ad affacciarsi al mondo dei grandi. Una su tutte, l’arrivo di Brigitte, una ragazzina olandese che Lena non vede di buon occhio, al contrario di Trille, che scopre di provare dei sentimenti per la nuova arrivata. Brigitte però è solo l’inizio, il suo ingresso nella vita di Lena e Trille è solo il primo di una lunga serie di eventi che mettono molto alla prova l’amicizia dei due protagonisti.

C’è però un tema che secondo me è importante almeno quanto la crescita e l’amicizia, e vale la pena sottolinearlo. Lena, ragazzina esuberante, in questo libro la cosa più importante che fa è desiderare. In particolare, ciò che desidera di più è avere un fratellino e diventare il portiere della squadra di calcio della scuola.

Il fratellino non l’avrà: l’avrà invece Trille, che di fratelli ne ha già diversi. A Lena sembra un’ingiustizia, ma così è la vita. E, sul diventare portiere della squadra di calcio della scuola, Maria Parr secondo me è stata bravissima a non cedere mai alla retorica di quello che viene chiamato “volontarismo magico”, cioè quella retorica di cui sono infarciti tanti prodotti d’intrattenimento o pseudoculturali, e tanti discorsi pubblici anche di personaggi altrimenti notevoli e rispettabili, nonché numerosi manuali di autoaiuto, longform motivazionali scritti da blogger aziendali, meme e altro ciarpame reperibile su internet, secondo cui tutti possiamo diventare nella vita quello che vogliamo, se lo desideriamo veramente.

Tutti ce lo siamo sentiti dire almeno una volta nella vita. Peccato che, semplicemente, non è vero: a volte, per quanto intensamente lo desideriamo e per quanto impegno mettiamo nello studio, nell’allenamento e nella pratica, non possiamo essere quello che vogliamo. Perché? Perché no, e basta. Per quanto Lena desideri più di ogni altra cosa essere il portiere della squadra di calcio della scuola, per quanto strenuamente si alleni, giorno dopo giorno e, da quando le cose con Trille si sono un po’ ingrigite, si alleni sempre più; per quanto sia più brava a stare in porta rispetto ai portieri maschi, e per quanto sia più forte di tanti ragazzi e ne abbia anche preso a pugni uno, la tengono sempre in panchina.

Sarebbe stato troppo facile far finire la storia secondo il copione del volontarismo magico, invece le cose vanno diversamente, e questo credo sia il nodo centrale di Lena, Trille e il mare. Più della crescita e dell’amicizia, che pure come temi ci sono e sono anche ampiamente sviluppati, credo vada sottolineato, perché rischia di passare in secondo piano, che se c’è qualcosa di veramente importante in questo romanzo, una lezione che a ben vedere, quasi tutti i personaggi, nello svolgersi delle loro vicende, imparano, è che nessuno può davvero modellare la propria vita con l’intensità del proprio desiderare; e con questo Lena, fortunata lei, dovrà fare i conti all’età di dodici anni.

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