Dieci inverni, Valerio Mieli
Rizzoli, Collana: Rizzoli romanzo, 2009, ISBN: 978-8817035194

Finalmente aveva alzato gli occhi. Me li sentivo addosso, anche se ora avevo i suoi occhiali spessi sul naso e tenevo la testa bassa sul libro. La riga che fissavo, e che vedevo tutta sfocata, parlava di qualcosa in russo. Mi sudavano le orecchie. Ho pensato che doveva essere molto miope e che forse un giorno sarebbe diventato un problema. Avremmo avuto figli miopi? Chissà come si chiama, mi domandavo anche. Avrà un nome da miope.

Dieci inverni. Dieci inverni da Novembre 1999 a Marzo 2009. Dieci lunghissimi, strazianti inverni in cui Camilla e Silvestro si cercano senza mai trovarsi perché spesso la persona è giusta, ma non lo è il momento.
Dieci inverni in cui Venezia la fa da padrona; sì, c’è più d’una toccata e fuga a Mosca, in una dacia russa e nella periferia veneta, ma è Venezia il cuore pulsante della narrazione, lo sfondo che prende il sopravvento.

Piccola curiosità. Fino a qualche anno fa non sopportavo Venezia: troppa gente, troppo costosa, troppa umidità (e dire che vengo dalla provincia di Bologna); ricordo che mi siano uscite queste parole: “Venezia è poi una Comacchio un po’ più grande”.
Senza nulla togliere a Comacchio, non avevo ancora imparato a conoscere la città insieme agli abitanti, e non intendo solo quelli che ci abitano da sempre, ma tutti quelli che per un motivo o per un altro ci hanno vissuto e che, ovunque andranno, si sentiranno sempre Veneziani.

Insomma, Venezia è Venezia.

Non avendoci mai vissuto non voglio dettare massime, ma credo che questo libro riesca a cogliere l’essenza della vita in laguna, lasciando al lettore la voglia di trasferirsi, magari in una catapecchia che cade a pezzi, su “un’isola che non c’è”.
In questo libro le vite dei due protagonisti sembrano essere dettate dallo scivolio delle acque dei canali veneziani: il vaporetto, la piccola barchina gialla di Silvestro, lo sconcerto della studentessa americana per il fatto che non esista un “lagoon pizza hut” o uno “speedy-gondoli”.
E poi quei luoghi di Venezia in cui non incontrerete nessun giapponese a meno che non si sia perso: Gennaio 2008 in campo San Giacomo dell’Orio. Una delle scene che più racchiudono l’essenza di questo libro: ai lati della chiesa, in un campo deserto, i due protagonisti si pensano ma non riescono a vedersi, hanno bisogno l’uno dell’altra, ma non sanno di essere così vicini.

Camilla e Silvestro si incontrano per la prima volta su un vaporetto durante il primo giorno di università a Venezia. Si notano. Sono attirati l’uno dall’altra come due calamite. Si immaginano già sposati e “con figli miopi” ma l’ansia e la paura si mettono in mezzo: fare la cosa più stupida e dire la cosa più insopportabile senza capire perché.
Dieci inverni in cui fare la cosa stupida sembra imperativo.

L’autore è anche il regista del medesimo film (Dieci inverni, CSC Production); sceneggiatura e scrittura si intersecano, sono infatti nate dallo stesso progetto: il film riesce perfettamente a dare voce ai luoghi; senza contare la fantastica colonna sonora e il cameo di Vinicio Capossela.
Ammetto però che nel film si perdono i fili conduttori dei pensieri di Camilla e Silvestro. Infatti i pensieri dei protagonisti sono lì nero su bianco: si vogliono, hanno bisogno l’uno dell’altra, ma non è mai il momento giusto; due linee destinate a scontrarsi ma che sembrano non incontrarsi mai.

Un amore che prende le distanze dal colpo di fulmine. Sul vaporetto scatta la scintilla, ma i due protagonisti non sono ancora pronti per stare insieme, hanno bisogno di crescere, di fare le proprie esperienze e chissà, forse di rincontrarsi a Venezia.

Puoi acquistare Dieci inverni qui.

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