Fato e furia, Lauren Groff
Bompiani, ottobre 2016, traduzione di Tommaso Pincio, ISBN: 9788845282768

La quarta di copertina di Fato e furia ci informa, a onor del vero senza troppo compiacimento, di come nientemeno che Barack Obama, ormai ex presidente degli Stati Uniti, l’abbia nominato miglior libro dell’anno (2015, per l’edizione americana). Se sia vero non saprei, non potendo vantare di aver letto l’intera produzione nordamericana di quell’anno; di certo posso affermare che Lauren Groff ha dato alla luce un romanzo magari non per tutti, ma con la stoffa del classico.

Anche tenendo conto di una struttura a mio parere troppo artificiosa e di uno stile in alcuni passi così fiorito da sfiorare a tratti la purple prose, l’impianto del romanzo, con i suoi echi della tragedia greca – tanto da includere un “coro” che commenta le vicende e ne anticipa lo svolgimento – è mirabilmente orchestrato, e ha il grande pregio di infondere un respiro epico a una vicenda privata e profondamente intima.

Chiunque, infatti, abbia sentito parlare della scrittura femminile come intimista, ripiegata in se stessa e dedita alla descrizione dei sottili moti del cuore, dovrebbe leggere Fato e furia. Al centro del romanzo è la storia di un amore, anzi, di un matrimonio. Un matrimonio perfetto, si direbbe da fuori, e dei perfetti sposi. Lui, Lancelot detto Lotto, alto, bello, solare e carismatico. Lei, Mathilde, a sua volta bella, modesta e riservata come si addice a una brava moglie, luna perfetta per il sole del marito, che si accontenta di scaldarsi dei raggi riflessi della gloria di Lotto, drammaturgo di successo.

Servendosi di una miriade di voci, che scivolano l’una nell’altra senza soluzione di continuità – un romanzo “corale”, si sarebbe detto una volta – il racconto decostruisce la perfezione di questa immagine, grazie al contrasto dei differenti punti di vista. Prendiamo ad esempio questa scena: è Natale, e Sallie, la zia di Lotto, è andata a trovare la coppia. Lotto non ha ancora scoperto la sua vocazione di drammaturgo e, da diversi anni, tenta, con scarsissimo successo, di sfondare come attore teatrale. La festa è saturata dalla tensione, la frustrazione di Lotto, la delusione inespressa di Mathilde, le aspettative della zia. Ed ecco cosa ci mostra Groff:

Sallie aveva capito di che pasta era fatta. Mathilde avrebbe potuto salvare Lotto dalla sua pigrizia, eppure eccoli lì, erano passati anni e lui era ancora una persona qualunque. Il canto le si fermò in gola. Un estraneo che si affrettava nei limiti concessi dal marciapiede ghiacciato sbirciò all’interno. Vide un circolo di persone che cantavano bagnate dalla luce bianca e limpida di un albero e il suo cuore fece una capriola. Quell’immagine rimase con lui, gli restò dentro anche una volta arrivato a casa dai suoi bambini, che già dormivano nei loro letti, dalla moglie spazientita, intenta ad assemblare il triciclo senza giravite che lui era andato a farsi prestare. Rimase con lui a lungo, anche dopo che i bambini scartarono e abbandonarono i giocattoli in pozze di carta e divennero troppo grandi per seguitare a giocarci e lasciarono la casa e i genitori e l’infanzia, sicché lui e sua moglie si guardarono a bocca aperta, sconcertati dall’incredibile rapidità delle cose. In tutti quegli anni, i cantanti nella luce tenue del seminterrato gli rimasero cristallizzati nella mente, diventando per lui la quintessenza della felicità.

Così, attraverso lo stridente contrasto fra ideale e reale si delinea la descrizione di un amore che ha molto poco a che fare con la sua versione romantica, letteraria; fatto di carne e sangue, bugie, compromessi e non detti, “sporcato” dal fuori – necessità economiche, rapporti difficili con famiglia e amici – e nonostante questo, o forse proprio per questo, non meno puro e vero dell’amore letterario.

Eppure, anche il racconto della relazione si mostra infine per quello che è, ovvero l’espediente per restituire nella loro interezza i due personaggi principali, illuminandoli in controluce sullo sfondo della trappola del loro ruolo nel matrimonio. Così, prima impariamo a conoscere Lotto, la sua fragilità in apparente contrasto con il suo egocentrismo, il suo talento: è impossibile non innamorarsi di lui, sia all’interno del mondo del romanzo, sia da lettori. Ed è tanto il suo carisma, è tale la preponderanza del suo ruolo che, solo alla fine, quando Lotto è ormai fuori scena, ci viene rivelata la parzialità della nostra visione, ci viene rivelata Mathilde e la sua furia.

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