Cuore oscuro, di Naomi Novik
Mondadori (settembre 2017), traduzione di M. Carozzi, ISBN: 978-8804678854

Di recente mi sono riavvicinata a uno dei miei primi amori letterari, il fantasy, dopo una separazione durata qualche anno. Come tanti altri campi, anche l’editoria è soggetta a mode: è facile scordarsene, data la sua intrinseca natura culturale, ma sempre di industria si tratta, e i libri vanno venduti.

Così, negli ultimi anni, gli scaffali della sezione fantasy sono stati inondati da epigoni di quel fenomeno di massa che ha portato al grandissimo pubblico il genere (con una portata, a mio parere, ben più ampia di quello che aveva fatto l’adattamento cinematografico de Il Signore degli anelli): Game of Thrones – o, qui in Italia, Il trono di spade.
G. R. R. Martin, l’autore della saga, è considerato dagli appassionati il fondatore di un nuovo sottogenere, detto “gritty fantasy”. Per chi non fosse pratico del genere – e delle sue innumerevoli sottocategorie – si tratta di un diretto discendente della high fantasy di matrice tolkeniana, quindi storie di ampissimo respiro su epiche battaglie, ma la cui ambientazione viene declinata sulla verosimiglianza: un medioevo, quindi, meno idealizzato, spesso violento e crudo (appunto, “gritty”, in inglese) e con una certa attenzione alla storia anche per dinamiche sociali e politiche, le tecniche di guerra e le armi, in sfavore degli elementi soprannaturali, come la magia.

Chiariamoci, non c’è nulla di male né nell’imitazione né nella codifica di un canone: ogni genere vive e si rinnova attraverso questo processo. Semplicemente, la prospettiva nichilista di questo particolare filone (per quanto sicuramente necessaria ai tempi) mi ha saturato, nonostante abbia incontrato qualche saga notevole[1].

Quando perciò mi sono decisa a leggere Cuore Oscuro, dato che ha vinto nel 2016 il premio Nebula, il Locus Award e il British Fantasy Award, oltre a essere nominato per l’Hugo, ero un po’ scettica.

Mi sono dovuta ricredere in fretta. Novik recupera un’altra prospettiva di cui sentivo decisamente la mancanza, che si rifà ad autori del calibro di Diana Wynne Jones, Ursula K. Le Guin o Terry Pratchett, in cui l’elemento fantastico pesca a piene mani dal folklore e dalla fiaba. Nel caso di Cuore Oscuro, la cultura di riferimento è quella originaria dell’autrice, di ascendenze polacche; è il tema delle origini, o radici (per la mia oramai rituale lamentela, il titolo originale è Uprooted, sradicata), a farne il piccolo gioiello che è. Come accade nella migliore letteratura fantastica, la storia diviene un’attualissima riflessione su identità e retaggio culturale nella società odierna, senza che questa oscuri la narrazione, godibilissima e con un ottimo ritmo con o senza interpretazioni aggiuntive.

Questo equilibrio fra necessità narrative di “intrattenimento”, se così le vogliamo chiamare, e spessore interpretativo, si estende alla costruzione dei personaggi. Nella folla delle nuove eroine femminili degli ultimi anni, “donne forti” che purtroppo si riducono spesso a stereotipi e a strizzate d’occhio al movimento femminista, Agnieszka, la protagonista, si distingue per complessità e sfumature. Un personaggio vivo, a tutto tondo, con un arco di crescita classico ma peculiare al tempo stesso, non definito unicamente dalla sua relazione con i personaggi maschili: anzi, la relazione più importante e maggiormente esplorata nel libro è quella con Kasia, la sua amica di infanzia.
Mi auguro di vedere più Agnieszke in futuro, in un genere così frequentato da giovani lettrici (e lettori). Come si dice, un buon personaggio femminile è, semplicemente, un buon personaggio.

Nota finale: Questo romanzo è autoconclusivo, niente saghe infinite!

[1] Per chi non sia già al completo come me, consiglio di sicuro la Trilogia dei fulmini di Mark Lawrence, composta da Il principe dei fulmini, Il re dei fulmini e L’imperatore dei fulmini, edita da Newton.

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