Il femminicidio esce dalla palude: il picaresco romanzo della bolognese Caterina Cavina viene tradotto Oltralpe da una piccola casa editrice

La merla, Caterina Cavina
Editore italiano: B.C. Dalai editore, 2010, ISBN: 9788860738127

Titolo in uscita: Les cicatrices du Marais; Editore francese: Anyway Éditions; Traduttrice: Murielle Hervé-Morier.

Tutti la conoscono per Le ciccione lo fanno meglio (oltre 35mila copie vendute nel 2008 e un seguito nel 2013) – ma, per chi scrive, Caterina Cavina era la cronista di nera per antonomasia.
Curiosa e testarda, era capace di sporcarsi le mani e di scavare all’infinito per approfondire una notizia, anche la più piccola. E, cosa rara di questi tempi, senza bisogno alcuno del controllo comodo e incrociato delle agenzie di stampa. Perché tanto lei, anche con mezzi di fortuna, sul posto ci andava davvero. Prima di smettere col giornalismo e mandarci tutti a quel paese, raccontava storie di provincia, dove sembra non accadere mai niente e dove invece accade molto, moltissimo.

A sette anni dalla sua uscita, ripescare La merla è un po’ come rivederla di nuovo all’opera in quel della Bassa. Perché Caterina faceva così: alla verità ci aggiungeva sempre un particolare pittoresco, quel tocco in più per restituirci con romanticismo anche la vicenda più torbida.

Decisi cosa sarei diventata il giorno in cui vidi la madre, impazzita, picchiettare per ore la terra umida con un rametto sperando che sua figlia fosse lì sotto. Mi ricordava la mia storia. Non era la prima e non sarebbe stata l’ultima donna a finire ammazzata nella palude. Qualcuno doveva pur raccontarle, certe cose.

Come? Aggiungendo alla mera e fredda cronaca di un delitto un escamotage narrativo fiabesco: i cadaveri, sempre donne, che, per un attimo, aprono gli occhi e le raccontano la loro versione dei fatti. Perché proprio a lei? Semplice. Prima di essere una giornalista e trasformarsi nella vendicatrice dei “maiali su due gambe” era una di loro: una ragazzina abusata e assassinata nei giorni più freddi dell’anno, i cosiddetti “giorni della merla” di fine gennaio, il cui corpo prima di sparire nella palude (verde come la copertina del libro) era restato a galla fino a primavera senza che nessuno avesse mai avuto il coraggio di raccoglierlo e seppellirlo.

Dopo, una volta riemerso, quel corpo aveva avuto la sua seconda occasione: la possibilità di poter raccontare per mestiere la verità. E di vendicare tutte le donne bambine che avevano subito violenza.

Stella stellina, la notte si avvicina…

Come aveva già fatto ne Le ciccione lo fanno meglio e poi ne Le ciccione lo fanno sempre meglio, Cavina è capace di alternare il registro tragico a quello ironico, creando un plot che sta fra il gotico, il farsesco e il pulp e non temendo di usare, laddove serve, un linguaggio crudo e volgare perché nient’altro che fotografia del reale. Una cifra leggera con cui, dopo aver inaugurato il filone italiano dei romanzi curvy, sceglie di affrontare il purtroppo eterno tema del femminicidio sposandolo con la ricorrenza di San Valentino e, dunque, delle storture dell’amore.
Un accostamento tragicamente veritiero, dolorosamente sincero e coraggiosamente rivoluzionario rispetto agli stereotipi solitamente usati dal giornalismo che, per dare conto delle morti di donne avvenute per mano maschile, continua a usare termini come raptus o immagini di vittime accucciate in un angolo con le mani sul capo a proteggersi.

Mi piaceva galleggiare sospesa sulla palude, protetta dalla luna piena, dall’acqua alta e da una coperta di stelle e nebbia. Non era facile governare la mia imbarcazione, una cesta di vimini cerata, che sopportava a malapena il mio peso e quello di Brigida, quando era ancora viva. Spingevo il bastone nella melma e filavo spedita perché, sebbene fossi solo una ragazzina smilza, ero forte e cocciuta. Già allora avevo ‘sto carattere ribelle. Se c’era una verità impigliata nella foschia, la volevo.

Un espediente – quello della morta vivente dalla pelle verde, stagnante e volutamente smilza, visti i fraintendimenti innescati nelle letture dei media più superficiali dalla cicciona precedente – che ha conquistato una piccola casa editrice francese, la Anyway Éditions di Le Mans. In pochi mesi, su segnalazione di un’attenta traduttrice che si era innamorata del testo, l’editore ha deciso di pubblicare La merla in una ventina di copie scommettendo sul mercato francese – molto meno bacchettone di quello italiano – nella speranza di creare il caso e aumentare la tiratura qualora incontrasse il favore dei lettori. Anche il titolo scelto per la versione d’Oltralpe potrebbe funzionare: Les cicatrices du Marais. Le Marais, che in francese significa la palude, è un frequentatissimo quartiere di Parigi. Situato sulla rive droite della Senna, ospita una delle più grandi comunità ebraiche della città e, culla della vita omosessuale parigina, è considerato uno dei luoghi più alla moda della moderna ville lumière.

Letteralmente, proprio come auspicava l’autrice sul finale, La merla potrebbe trovare una nuova vita. A Parigi, del resto, l’odore del pane promette bene.
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