Oh, Boy! di Marie-Aude Murail
Giunti editore; Prima ed. 2008, Ristampe: 2013, 2016; Traduzione di Federica Angelini; ISBN: 9788809780200

C’è chi dice che non esistano libri per ragazzi, ma solo libri belli o brutti. Per quanto si possa discutere sulla veridicità di questa affermazione, o su cosa possa essere o meno appropriato in un libro per ragazzi, a chi abbia qualche dubbio di potersi godere un romanzo concepito per i lettori più giovani consiglio di leggere Murail.

Oh, Boy! prova che è possibile trattare di argomenti “adulti”, di norma pensati come troppo lugubri o complessi per le delicate menti dei nostri figli: è la storia di tre fratelli rimasti orfani di madre, abbandonati dal padre, in cerca di una famiglia che si occupi di loro. Nonostante questa premessa strappalacrime, Murail scrive con grazia, ironia, e senza scadere nel pedante didascalismo o nello zuccheroso pietismo che credo molti si aspettino nella scrittura per ragazzi (forse a causa di ricordi di scuola non sempre felici…).

La malattia, il suicidio, la violenza in famiglia, l’omosessualità e le famiglie così dette atipiche, sono solo alcuni temi toccati dalla storia: temi attuali, se vogliamo anche “di moda” nell’attuale panorama letterario, che però si incarnano con naturalezza in personaggi da un lato tratteggiati con semplicità, dall’altro mai appiattiti su stereotipi. Murail si destreggia con uguale abilità nel parlarci dei tre fratellini Morlevent, tenerissimi nella loro cattiveria infantile, del loro fratellastro Barthélemy, dichiaratamente omosessuale, immaturo, bello e vanesio, ma anche generoso e in buona fede, come anche della galassia di personaggi che si muovono intorno a loro: l’assistente sociale, la giudice e, ancora, la vicina di Bart abusata dal marito, i medici, i professori.

Che cos’è, dunque, che rende unico il modo di raccontare questa storia? Io credo sia l’estrema sincerità. Non si glissa, in Oh, Boy! su aspetti meno piacevoli dell’infanzia, o della vita in generale. Senza paura del politicamente scorretto, l’autrice ci presenta Barthélemy come promiscuo – i “fidanzati” del giorno entrano ed escono da casa persino dopo che i fratellini sono entrati nella sua vita – e d’altra parte Josiane, seconda sorellastra e candidata alla tutela, non esita a strumentalizzare questo aspetto per cercare di sottrarre i bambini al fratello più giovane. Non ci sono buoni e cattivi in questa storia: proprio come nella vita reale, gli adulti hanno i loro pregi e le loro nevrosi, debolezze ed errori. D’altronde, nemmeno i bambini sono rappresentati come agnellini indifesi, vittime delle circostanze; i fratelli Morlevent sono sperduti, sì, bisognosi di affetto e soprattutto di una casa, ma ben lontani da un’infanzia idealizzata e stereotipata. Per questo si finisce per trovare un dialogo deliziosamente scorretto come questo:

«Dovremo convincere Barthélemy a tenerci».
«Gli faccio un altro disegno».
I due maggiori si guardavano sorridendo. L’ingenuità della piccola li incantava.
«Ci sono anche i bacini» suggerì Venise stendendo le gambe.
«Questo va bene per te, ma non per noi» rispose Siméon.
«Perché?» Chiese Venise.
«Perché tu, tu sei piccola e graziosa».
«E voi, voi siete…»
«Grandi e brutti» completò Siméon serenamente.

Su questo brano, non mi resta che augurarvi buona lettura e di innamorarvi di questa strampalata – ma credibilissima – famiglia.

«I Morlevent o la morte».

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