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Le parole sono importanti

Sguardi differenti fa il punto sul sessismo e su mistificazioni come il gender e l’alienazione genitoriale e sottolinea la necessità di un’educazione alle differenze.

Sguardi differenti – Il punto su sessismo, gender e alienazione genitoriale, Autore: AA. VV.
Mammeonline, oggi Matilda editrice, 2016, ISBN: 9788889684801

Le parole non sono simboli di un’algebra astratta. Non ci servono solo a indicare cose e azioni, ma anche segnalano, magari senza che ce ne rendiamo conto, chi siamo che le adoperiamo e come ci collochiamo verso ciò di cui parliamo. Questo vale sempre, vale tanto più quando la parola, scritta o trasmessa, è destinata a un vasto pubblico. L’attenzione alla chiarezza e precisione dovrebbe combinarsi con altrettanta attenzione a limitare ciò che può ferire e offendere. Quello che trasmettiamo a un vasto pubblico andrebbe sempre letto, mentre scriviamo, con gli occhi dei destinatari, specialmente con gli occhi delle persone di cui parliamo.
Meglio qualche pesantezza e rigidità che usi discriminatori delle parole. Meglio “bambini e bambine”, “donne e uomini” piuttosto che “bambini” e “uomini” cassando l’altra metà del cielo.

Questa frase, pronunciata durante un’intervista rilasciata al sito Cartadiroma.org dal linguista ed ex ministro della pubblica istruzione recentemente scomparso Tullio De Mauro, potrebbe essere semplificata con il morettiano «le parole sono importanti», ma soprattutto dovrebbe trovare applicazione nella vita pratica.
Al contrario, proprio mentre credevamo di esserci guadagnate la parità già da un pezzo, le ricadute nel Medioevo del linguaggio, e dunque del comportamento, son state parecchio virulente.
Sono uscite pubblicazioni che inneggiano alla sottomissione delle donne, organizzate manifestazioni come il Family Day, promosse giornate come il Fertility Day e nate realtà collettivi associazioni parrocchie, chiamatele come vi pare, denominate Sentinelle in piedi. Il tutto condito da un fantoccio creato ad hoc e ormai a tutti noto come teoria gender.

Ecco allora che per riequilibrare le prospettive non sarebbe male cominciare il 2017 approfondendo i temi del corretto utilizzo del linguaggio proposti dalla piccola e bella casa editrice Matilda, nuovo nome dell’esperienza pionieristica nata nel 2003 di Mammeonline.
Un titolo su tutti: Sguardi differenti – Il punto su sessismo, gender e alienazione genitoriale.

Si tratta di un’interessante raccolta di interventi e informazioni per capire come si sia arrivati alla creazione di alcune delle mistificazioni più in voga di questi tempi. La prefazione è di Valeria Fedeli, alla data della stampa ancora vice presidente vicaria del Senato e oggi ministra dell’istruzione del governo Gentiloni.
Eccole qua le grandi domande a cui risponde questo libro, realizzato col contributo del comitato di redazione di Donne in Rete, un’associazione foggiana che da anni si batte contro le discriminazioni di genere: perché educare alle differenze sin dall’infanzia? Perché sviluppare gli studi di genere? Che cos’è (se esiste) la teoria del gender e da dove nasce la necessità di creare la cosiddetta alienazione parentale?

La ricercatrice in studi di genere Debora Ricci ripercorre, per esempio, la storia della parola sessismo. Il concetto di sexism – riporta la studiosa – è nato durante i movimenti femministi degli anni settanta esprimendo la discriminazione che la cultura di impronta patriarcale opera nei confronti del genere femminile. Una posizione che riguarda i livelli politico, sociale, familiare e lavorativo e che è perpetuata dal linguaggio e da tutte le sue estensioni: i modi di dire, gli aforismi, i proverbi e, ovviamente, gli insulti. Ci sono poi i media, e la rappresentazione che danno delle donne, i testi scolastici dove sono poco citate o descritte in maniera stereotipata e la toponomastica con le sue poche targhe intitolate a personaggi di genere femminile. Senza dimenticare la longa mano della Chiesa sui diritti riproduttivi e le consuetudini sociali che vanno dal giusto modo di vestirsi fino alla concezione del corpo perfetto. Non vi è però solo il cliché sulle donne – ricorda Ricci – , vi è anche l’invisibilità delle stesse. «Ciò che non si nomina non esiste», direbbe la linguista Cecilia Robustelli. E di qui la constatazione che, con la scusa del “non suona bene”, l’italiano è l’unica lingua romanza in cui le professioni di prestigio (sì prestigio, perché fornaia si dice eccome) non vengono declinate al femminile.

La sociologa Graziella Priulla, invece, si occupa di parole tossiche e sessiste. Quel cosiddetto linguaggio da caserma, che spesso siamo portate a far finta di non sentire dimenticando che «la violenza verbale genera violenza nell’immaginario e nella vita, contagia le menti dei singoli e l’intera società» inondando persino radio e televisione che un tempo, almeno formalmente, mantenevano un certo aplomb.

Al comitato di redazione di Donne in Rete il compito di passare al setaccio il registro con cui si parla di violenza e femminicidio. Si usano la gelosia, lo stress o l’abbandono come fossero alibi o attenuanti, il raptus come fosse un comportamento scientificamente confermato e si scambiano le molestie con le avances. Ancora una volta la stampa è uno dei mezzi incriminati: titoli come “Deluso dalla fine della relazione la massacra di botte” o “Fidanzato in preda al raptus la accoltella” non sono corretti, eppure continuano ad essere prassi. Per dare il giusto nome alle cose si dovrebbe usare volontà di possesso al posto di gelosia, per esempio. Aggressione al posto di passione, dominio al posto di amore.

Ci sono inoltre i capitoli più attuali: Sul gender e altre bizzarre teorie e La mistificazione del gender. Nel secondo, in particolare, Donatella Caione che è anche l’editora del libro, racconta la genesi di quella che, se non si è obnubilati da estremismi di tipo religioso, è chiaramente un’invenzione. Si inizia a parlare di ideologia gender nel 2013 – ripercorre Caione – e cioè non appena nasce l’esigenza di educare ai sentimenti e al contrasto degli stereotipi di genere, bullismo omofobico compreso. In Italia i sostenitori di tale teoria – tutti facenti capo ad associazioni di stampo cattolico come le Sentinelle in piedi, Pro Vita e Giuristi per la vita – hanno cominciato a diffondere l’idea che con l’educazione sentimentale si vorrebbero negare le differenze fra uomo e donna, insegnare la masturbazione (collettiva per giunta) nelle scuole e convincere i più piccoli che si può decidere di essere maschi o femmine a proprio piacimento. Una “bufala” che diventa virale quando in alcune scuole di Trieste si avvia la sperimentazione, proposta da alcune psicologhe e sociologhe dell’Università friulana, de “Il Gioco del Rispetto”. Si innesca un tale polverone che il sindaco Riccardo Cosolini è costretto a fare chiarezza: «Qualcuno ha definito scandaloso il programma, ergendosi a difensore della morale – è la sua replica – “Il Gioco del Rispetto” non affronta né il tema della sessualità né quello della composizione della famiglia, ma insegna il concetto di uguaglianza. Mostrare che un padre possa stirare e una madre possa riparare un’automobile non ha nulla di scandaloso. Così come far sentire ai bambini e alle bambine che dopo una corsa i loro cuori battono nello stesso modo e che uguale è il loro respiro. Questo significa semplicemente educarli a crescere nel rispetto reciproco».

Di pari passo nasce il movimento #Difendiamo i nostri figli e, qualche anno dopo, si conia l’acronimo Pas, sindrome da alienazione genitoriale, con cui si decide scientemente di confondere il prevedibile comportamento di un minore che rifiuta il genitore abusante in casi di violenza familiare con una malattia psichica del bambino o della bambina o, addirittura con un plagio ai suoi danni da parte della madre. Una sindrome che è stata smentita dall’intera comunità scientifica internazionale, ma che, ciononostante, trova voce e spazio sui tavoli degli avvocati divorzisti e nelle cronache giornalistiche sui bambini contesi. Quasi a voler negare, con questa tesi, l’effettiva esistenza di violenze fisiche o verbali di un coniuge (nella maggior parte dei casi l’uomo) sull’altro.

In ultimo, la grande colpevole: l’educazione alle differenze che si vorrebbe (finalmente) introdurre nelle scuole. Una eventualità che spaventa una fetta della società, chiusa e facilmente influenzabile, i cui timori ricordano un po’ le polemiche che seguirono alla distribuzione dell’albo di Lupo Alberto sull’uso del preservativo negli anni novanta.

Sguardi differenti ricorda allora che l’educazione alle differenze non è un capriccio tutto italiano, ma un invito delle istituzioni europee e degli organismi internazionali che hanno firmato la Convenzione di Istanbul. Educazione alle differenze significa valorizzarle, insegnando il rispetto, l’uguaglianza e contrastando gli stereotipi.
Un libro, insomma, che non parla solo di donne alle donne ma di tutti quei portatori di una differenza che invece di essere compresa rischia di essere trasformata prima in categoria, poi incastrata in ruoli specifici, infine presa di mira se sconfina da essi.

Puoi acquistare Sguardi differenti – Il punto su sessismo, gender e alienazione genitoriale qui.

Alessandra Testa

Giornalista professionista, dopo dodici anni all'interno della redazione de "Il Domani di Bologna", che poi ha cessato le pubblicazioni, si occupa oggi di comunicazione interculturale e letteratura per l'infanzia. Scrive per alcune riviste cartacee e online. Redattrice di prodotti editoriali, tra i suoi ultimi progetti un laboratorio di giornalismo e un concorso di fiabe per donne migranti.

1 Comment
  1. Donatella Caione

    17 Gennaio 2017 12:37

    Grazie della bella recensione!

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