Ci sono cose che non si imparano a scuola. Una di queste, può sembrare strano, è scrivere. A scuola si impara l’alfabeto, si impara a coniugare i verbi, a mettere in fila soggetto e predicato verbale, si fanno ore e ore di analisi grammaticale e analisi logica, si leggono e analizzano testi in prosa e in poesia, si richiede ai ragazzi di produrre in classe almeno un tema al mese, però non si insegna loro a scrivere.

La scuola, insomma, dota i ragazzi di tutta la cassetta degli attrezzi, ma nessuno spiega loro come usarli, e l’idea che passa degli scrittori è ancora molto ottocentesca: uomini intellettualmente superdotati, nei cui petti arde il fuoco sacro della scrittura, che producono versi e passi memorabili sotto l’effetto stupefacente dell’Ispirazione. Per lo scrittore, così come viene raccontato sui libri di testo, la capacità di ideare storie e scriverle bene è una dote naturale, un talento innato. E se per caso tra i banchi dovesse esserci un futuro scrittore, non sarà certo grazie alla scuola: il suo talento si manifesterà spontaneamente quando l’Ispirazione, qualcosa di simile all’estasi mistica o alla vocazione clericale, illuminerà sulla via di Damasco il giovane predestinato all’immortalità.

Fuori da scuola, invece, sappiamo che non è proprio così: per produrre della letteratura servono certe qualità dello spirito che forse non si possono insegnare, ma si possono coltivare; e ci sono molte semplici tecniche di scrittura (cioè dei modi per usare quegli strumenti linguistici che la scuola già elargisce agli scolari) che si possono benissimo insegnare, e che ha senso insegnare anche se i risultati non saranno degni di Dante, Manzoni e Leopardi.

Senza nessuna velleità di formare una nuova classe di letterati, quanto sarebbe costruttivo insegnare ai ragazzi qualche tecnica di quelle che si imparano nei corsi base di scrittura creativa? Show, don’t tell e così via. Considerando che viviamo in un mondo in cui si comunica per iscritto come non è mai avvenuto prima nella storia dell’umanità, che l’accesso a un computer e la possibilità di pubblicare da qualche parte i propri pensieri sono cose alla portata di tutti, e che milioni di persone, dal collega di lavoro al ministro dell’Interno, quotidianamente (e spesso irresponsabilmente) lo fanno, possiamo dire che padroneggiare le tecniche più basilari per raccontare, argomentare, descrivere, incuriosire il lettore e, al momento giusto, mettere la parola fine, oggi non è più un privilegio di pochi predestinati, ma si configura come un servizio di pubblica utilità. Invece il massimo che si può ricevere da un insegnante di italiano è la raccomandazione che il tema abbia un inizio, uno svolgimento e una fine.

Tutto questo per dire che, finché i programmi scolastici non saranno aggiornati, fortunatamente ci sono in giro libri come il romanzo d’esordio di Annet Huizing, Come ho scritto un libro per caso (La Nuova Frontiera Junior, 2018): un romanzo che è, in fin dei conti, un piccolo manuale di scrittura creativa.

Katinka, tredicenne di Utrecht, vive con suo padre e suo fratello. Sua madre è morta quando aveva tre anni. Per caso, a dieci anni dalla morte della madre, nella vita della famiglia di Katinka entra Dirkje, una donna che piace alla giovane protagonista, piace al fratellino Kalle, e soprattutto piace al padre. Insomma, è arrivato il momento di superare un lutto e, senza dimenticare la madre defunta, aprire un nuovo capitolo nella vita della famiglia.

Cosa c’entra, in tutto questo, la scrittura creativa? La vicina di casa di Katinka, Lidwien, è una scrittrice di successo che, oltre a pubblicare romanzi, tiene dei corsi serali di scrittura creativa, frequentati da «donne di mezza età che vogliono scrivere dei bestseller con protagoniste che fanno un sacco di shopping e hanno una relazione segreta con il vicino di casa. E sempre quel vino bianco, l’eterno vino bianco». Katinka si rivolge alla sua vicina perché anche lei vorrebbe diventare una scrittrice. Alla ragazza, però, non interessa scrivere bestseller: molto pragmaticamente, chiede a Lidwien di insegnarle a mettere nero su bianco delle storie sue, personali. Iniziano così a incontrarsi tutti i venerdì pomeriggio e, settimana dopo settimana, Katinka, con la guida di Lidwien, scrive la storia dell’ingresso di Dirkje nella sua vita. Alla fine di ogni capitolo ci sono delle note in cui Katinka esplicita quali tecniche di scrittura Lidwien le ha insegnato ad applicare, quale compitino le è stato assegnato, qualche critica costruttiva, o quante riscritture e revisioni siano servite per per arrivare al testo fluido e pulito appena letto.

Come ho scritto un libro per caso è una vicenda familiare in sé edificante, scritta con una prosa fresca (per quel che ci riguarda, merito anche della traduttrice Anna Patrucco Becchi), e al tempo stesso è un piccolo manuale di scrittura creativa, con tanto di esercizio svolto da prendere come modello. Infine, la storia di come Katinka ha scritto un libro per caso è una dimostrazione eccellente di come scrivere, più che ispirazione e talento, richieda riflessione e introspezione, e di quanto mettersi a scrivere aiuti a ragionare sulle proprie storie, a relazionarsi in modo più sano con gli altri e a dare un senso a eventi che, soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, possono lasciare segni profondi nella vita dei ragazzi.

Come ho scritto un libro per caso  è uno dei candidati finalisti al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2019, nella categoria +11. 
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